Non dimenticare di valutare gli anticorpi ANTI-HLA donor specifici (DSA) se programmi un trapianto aploidentico
Il mancato attecchimento o graft failure è una delle complicanze più temute del trapianto allogenico, in quanto è gravata da altissima mortalità ed è più frequente nel trapianto se il donatore è parzialmente HLA-compatibile (donatore da registro mismatch o familiare aploidentico) rispetto a quello familiare e/o da registro HLA-identico
Ciurea SO, et al. Biol Blood Marrow Transplant. 2015 Aug; 21(8): 1392–1398.
La patogenesi è sconosciuta, ma recentemente è stata associata al riscontro di anticorpi anti-HLA donor-specifici (DSA).
I ricercatori del M.D. Anderson hanno valutato prospetticamente nel siero di 122 pazienti da sottoporre a trapianto da donatore aploidentico (in parte T-depleti, in parte T repleti con ciclofosfamide post-trapianto) l’eventuale presenza di DSA, il loro titolo e la capacità di fissare il C1q, attivando la cascata del complemento.
Inoltre nei pazienti che presentavano un alto titolo di DSA hanno messo in atto un strategia di desensibilizzazione, mutuata dall’esperienza nei trapianti di organo solido, e basata su plasma exchange a giorni alterni per 3 volte + una dose di rituximab 375 mg/mq + Ig vena 1 g/Kg ± infusione di un buffy coat preparato dallo stesso donatore aploidentico, prima della reinfusione delle cellule staminali.
Ventidue su 122 pazienti (18%) avevano DSA, la maggior parte di esse erano donne, verosimilmente immunizzate durante la/le precedenti gravidanze.
Sette pazienti con DSA (31%) hanno presentato un graft failure. Il livello dei DSA misurato come mean flurescent intensity (MFI) con la piattaforma Luminex permetteva di discriminare il rischio di graft failure e correlava anche con la capacità degli anticorpi di fissare il C1q. Infatti, il livello mediano di DSA prima del trapianto nei pazienti che presentavano un graft failure era stato 10.055 MFI vs 2.065 rispetto a quelli che ottenevano un regolare attecchimento, tutti i pazienti con successivo graft failure avevano un livello di MFI pre-trapianto > 5000. I pazienti con DSA ed MFI elevato (e quindi con alta probabilità di graft failure) erano anche C1Q positivi, indicando che il meccanismo del graft failure dipende dall’ attivazione la cascata del complemento e dalla distruzione delle cellule staminali allogeniche tramite la citotossicità anticorpo-mediata (ADCC).
La strategia di desensibilizzazione ha funzionato in alcuni pazienti, specialmente se associata anche all’infusione del buffy coat preparato dallo stesso donatore, con lo scopo di bloccare i DSA fissandoli sugli antigeni HLA del buffy coat.
Questo studio evidenzia che la presenza di anticorpi DSA nei pazienti da sottoporre trapianto aploidentico è un evento raro (18%) ed è ancora più raro che essi si associno al graft failure ( 31% dei pazienti con DSA, 6% di tutti i pazienti testati).
Tenendo conto però che il graft failure è un’evenienza grave e spesso mortale, se non è possibile ricorrere subito ad un secondo trapianto, ogni trapiantatore deve riflettere sul rapporto costo-beneficio di una strategia di monitoraggio dei DSA pre-trapianto nei candidati al trapianto aploidentico. Lo studio ha il merito di suggerirci anche che un livello elevato di DSA ( verosilmente MFI > 5000) è associato ad un elevato rischio di graft failure e che, nel caso non sia possibile trovare un altro donatore, una strategia di desensibilizzazione farmacologica con plasmaexchange + rituximab + Ig vena associata all’infusione di un buffy coat preparato dallo stesso donatore aploidentico, prima della re infusione delle cellule staminali, può essere efficace a ridurre il titolo dei DSA e promuovere l’engrafment.