Le cellule T del donatore, angeli e demoni nel trapianto aplo
Sohl M et al. riportano una sopravvivenza più breve dopo la ricaduta nel trapianto aploidentico rispetto al trapianto MUD e familiare HLA-identico e lo attribuiscono al minor uso di infusioni di linfociti del donatore (DLI).
Solh M et al. Bone Marrow Transplantation (2016) 51, 949–954
Circa 30-40 % dei pazienti che fanno un trapianto allogenico ricadono e solo una piccola percentuale di questi ottiene, dopo la ricaduta, una seconda prolungata remissione. Le opzioni di trattamento possibili sono la sospensione dell’immunosoppressione, l’ infusione di linfociti del donatore (DLI), la chemioterapia intensiva e un secondo trapianto allogenico . Più recentemente, sono state sperimentate anche terapie mirate, come il blinatumumab nelle leucemie acute linfoblastiche e gli inibitori delle mutazioni di FLT3-ITD e di IDH1/IDH2 nelle leucemie mieloidi acute. Meno conosciuta è la cinetica di ricaduta della malattia e l’efficacia e la tossicità delle DLI dopo trapianto allogenico aploidentico. Il presente studio è uno studio monocentrico retrospettivo che riporta l’outcome delle ricaduta post-trapianto allogenico, confrontando i trapianti da 3 diversi tipi di donatori: familiari HLA-identici (FAM), da registro (MUD) e da donatore aploidentico (APLO) e valuta i fattori che influenzano l’outcome della ricaduta post- trapianto, a seconda dei vari donatori.
Nel periodo 1998-2014, 237 pazienti affetti da malattie ematologiche eterogenee (55% erano leucemie acute) sono ricaduti dopo trapianto allogenico, da donatore FAM (N=102), da donatore MUD (N=87) e da donatore aploidentico (N=48). Anche i regimi di preparazione al trapianto sono molteplici e diversa è l’intensità di condizionamento, ma tutti i trapianti aploidentici hanno ricevuto la ciclofosfamide post-trapianto come profilassi della GVHD. Il tempo mediano intercorso dal trapianto alla ricaduta è stato di 5 mesi. La sopravvivenza a 1 anno dalla ricaduta è stata diversa a seconda del donatore e precisamente: 46% dopo trapianto FAM, 40% dopo trapianto MUD e solo 17% dopo trapianto APLO. Inoltre, il ricorso alle DLI come trattamento della ricaduta si è osservato nel 47% dei trapianti FAM, nel 32% dei trapianti MUD e solo nel 6% dei trapianti APLO. I fattori sfavorevoli associati alla OS post-ricaduta in analisi multivariata sono stati : una ricaduta <3 mesi dal trapianto, un indice di comorbilità elevato al trapianto e il non utilizzo di DLI alla ricaduta.
L’ analisi è retrospettiva e contiene potenziali fattori confondenti, ma è interessante, in quanto esplora una situazione clinica frequente e a prognosi infausta, quale la ricaduta post-trapianto allogenico nell’ambito del trapianto aploidentico, ponendola a confronto con i trapianti da altri donatori. Questo studio retrospettivo riporta uno scarsissimo utilizzo delle DLI nelle ricadute dopo trapianto APLO (solo 3 casi su 48) , forse a causa del timore di un maggior rischio di GVHD acuta dopo DLI nell’APLO rispetto agli altri donatori. Questo scarso utilizzo delle DLI nell’APLO potrebbe almeno in parte giustificare la OS più breve nelle ricadute dopo trapianto APLO, rispetto ai trapianti FAM e MUD . Studiando la letteratura, il timore di una maggiore tossicità delle DLI dopo trapianto APLO non è giustificato, in quanto dosi scalari di DLI a partire da CD3+ 105–106/kg sono risultate sicure ed efficace anche nelle ricadute da trapianto APLO in diverse casistiche, seppure non numerose. Nel contesto del trapianto APLO, quindi, le cellule T del donatore sono “demoni”, in quanto devono essere eliminate con la ciclofosfamide post-trapianto per evitare il rischio di un rigetto e una GVHD acuta potenzialmente fatali, ma sono anche “angeli”, in quanto possono essere utilizzate con beneficio come DLI nelle ricadute post-trapianto anche nella nostra pratica clinica.