Le nuove frontiere della terapia cellulare
Uno studio di fase 2 internazionale pluricentrico ha confermato la fattibilità e l’efficacia della terapia cellulare con linfociti T ”ingegnerizzati” anti-CD19 (CAR-T) in pazienti pediatrici e giovani adulti con leucemia linfoblastica B ricaduta-refrattaria
I pazienti con leucemia linfoblastica acuta (LLA) che ricadono dopo 2 linee di chemioterapia e/o dopo trapianto allogenico hanno una sopravvivenza inferiore all’anno. Anche nuove terapie come clofarabina e blinatumumab inducono raramente risposte profonde e durature. Alcuni recenti studi hanno dimostrato la possibilità di produrre in laboratorio, a partire dai linfociti prelevati dallo stesso paziente, potenti cellule effettrici mirate (Chimeric Antigen Receptor T cells o CAR-T) , caratterizzate da un recettore bifunzionale che da un lato riconosce l’antigene specifico sulle cellule leucemiche (CD-19) e dall’altro attiva la risposta citotossica del linfocita T. Diversi studi monocentrici negli ultimi anni hanno dimostrato l’efficacia delle cellule CAR-T soprattutto nella LLA, ma anche nei linfomi e nel mieloma multiplo, in associazione ad alcuni effetti tossici specifici, quali la sindrome da rilascio di citochine e la tossicità sul sistema nervoso centrale (encefaliti, edema cerebrale). Questo studio valuta l’efficacia e la tossicità di un tipo specifico di cellule CAR-T, dette “Tisagenlecleucel” (nome davvero impronunciabile) , che si caratterizzano per uno specifico dominio co-stimolatorio che migliora la sopravvivenza delle cellule nel sangue periferico e che sono state prodotte in un laboratorio centralizzato, per bambini e giovani adulti affetti da leucemia linfoblastica B ricaduta-refrattaria in 25 centri ematologici in tutto il mondo.
75 pazienti con LLA ricaduta-refrattaria, oltre la metà dei quali ricaduti dopo trapianto allogenico, hanno ricevuto un’infusione di CAR-T, 81% ha ottenuto una remissione completa citologica ed immunofenotipica, per lo più già presente al giorno + 28. Le remissioni erano durature con una sopravvivenza globale e una sopravvivenza libera da eventi del 75% e del 50%, rispettivamente, dopo 1 anno dalla reinfusione. La maggior parte dei pazienti ha ricevuto una terapia con fludarabina e ciclofosfamide prima dell’infusione dei CAR-T, la cui dose mediana è stata di 3 milioni di cellule per Kg del paziente. Le remissioni si associavano alla persistenza delle cellule CAR-T nel sangue periferico dei pazienti per una mediana di 168 giorni (range 20-617) dopo l’infusione. Gli effetti collaterali gravi (grado 3-4 WHO) sono stati frequenti, ma transitori nella maggior parte dei casi, anche se hanno necessitato spesso di terapia di supporto intensiva. La tossicità più frequente è stata la sindrome da rilascio di citochine, che ha interessato il 77% dei pazienti, metà dei quali sono stati trattati con tocilizumab e che hanno necessitato non raramente ricovero in terapia intensiva (47%), ventilazione meccanica (10%) e dialisi. Altri eventi tossici sono stati: pancitopenie persistenti oltre il giorno + 28, infezioni, sindrome da lisi tumorale e tossicità neurologica. Tuttavia, solo 3 pazienti sono deceduti per la tossicità delle CAR-T , mentre 14 sono deceduti per progressione della LLA. La maggior parte delle ricadute di LLA aveva perso l’antigene CD19. Tra i pazienti in remissione duratura ad un anno dal trapianto, 8 avevano anche consolidato la remissione, eseguendo con successo un trapianto allogenico.
Una nuova classe di farmaci sta entrando nella pratica clinica, in cui il farmaco non è una sostanza chimica, ma un linfocita del paziente che viene trasformato in laboratorio, acquisendo la capacità di localizzare le cellule tumorali e di esercitare una specifica e potente attività citotossica. Le CAR- T sono uscite dai laboratori dei pionieri della ricerca e sono attualmente prodotte anche dalle industrie farmaceutiche. Le tossicità ad esse associate sono ancora frequenti e gravi, ma i clinici hanno imparato a gestirle e a superarle nella maggior parte dei casi. Questa forma innovativa di terapia cellulare potrà rappresentare una terapia di salvataggio per pazienti affetti da malattie linfoproliferative ricadute e al momento incurabili, anche integrandosi nella piattaforma del trapianto allogenico.