Mortalità trapiantologica basata sull’evidenza della carica virale: un nuovo biomarcatore?
L’epidemiologia e l’impatto clinico di certe infezioni virali rappresentano un campo attuale di attiva ricerca, al fine di identificare i pazienti che possano beneficiare di strategie mirate di profilassi
Ancora una volta i colleghi del Fred Hutch fanno scuola. Con l’obiettivo di cercare una correlazione tra “burden” virale ed outcome dopo trapianto, Hill et al. (Blood 2017) hanno retrospettivamente analizzato un totale di ben 5000 campioni di plasma da oltre 400 pazienti ed i risultati sono stati correlati con l’overall mortality a 100 e 365 giorni dopo il trapianto. Una PCR quantitativa real-time per CMV, EBV, BKV, HHV-6 ed Adenovirus è stata eseguita su ogni campione, generalmente settimanale, ed i valori ottenuti sono stati valutati insieme a parametri clinici quali attecchimento dei neutrofili, conta linfocitaria, conta monocitaria, GvHD, condizionamento, uso di steroide, per aggiustamenti nei modelli di regressione. I pazienti con più del 50% dei campioni risultati positivi all’HHV-6 sono stati testati per l’integrazione cromosomica dello stesso (1). Attraverso mirabolanti modelli statistici sono state pianificate delle analisi di correlazione al fine di favorire l’interpretabilità e la fruibilità dei risultati
I 404 pazienti sono stati selezionati, tra i quasi 2000 trapiantati dal febbraio 2007, sulla base della disponibilità dei campioni plasmatici e della sopravvivenza a +100. Il 90% dei pazienti aveva ≥1 virus, il 62% ≥2, il 28% ≥3 ed il 5% 4 o 5 virus. CMV, HHV-6B e BKV sono stati i virus osservati più frequentemente in combinazione e l’HHV-6B è stato quello il cui picco è sopraggiunto più precocemente, seguito da CMV e BKV (confermando una precedente segnalazione nel contesto aploidentico (2)). La “cumulative viral load AUC” (per il cui calcolo rimandiamo il lettore al testo dell’articolo), biomarcatore proposto dagli autori come indice di immunosoppressione, ha correlato in maniera indipendente con la mortalità entro i 100 giorni e tra i 100 ed i 365 giorni post-trapianto, con degli HRs statisticamente significativi di 1.37 e 1.04 rispettivamente per ogni aumento logaritmico di copie/mL
Questo lavoro potrebbe aprire nuove ed interessanti prospettive nell’intervento precoce e più mirato di alcune infezioni virali nel post-trapianto (3), settore nel quale le terapie disponibili non sono scevre di effetti tossici e dove un approccio più mirato sui pazienti che lo meritano potrebbe migliorare l’outcome.